Vita e opere a cura di Henri LECHEVESTRIER e Don Enrico IANNITTO

L’OPERA SCIENTIFICA

Henri LECHEVESTRIER Professore di Educazione Fisica amico e stretto collaboratore di Jean Le Boulch

RICERCA DI UNA CONCORDANZA FRA DATI SCIENTIFICI E PRATICA PEDAGOGICA

Chiarire l’oggetto proprio della Educazione Fisica, sballottata per decenni fra rivalità dottrinali e darle, come fece Georges Demeny, una collocazione scientifica, tale è stata l’intenzione nutrita da Jean LE BOULCH fin dall’inizio della sua carriera.

Egli viene rapidamente condotto a deplorare gli orientamenti ufficiali, dapprima quelli del 1945 che avallano una giustapposizione arbitraria di metodi discordanti in opposizione dottrinale fra loro ed in seguito quelle che focalizzano l’attenzione sull’insegnamento e l’apprendimento delle attività fisiche, sportive e artistiche, distogliendola a poco a poco dagli obiettivi che costituiscono al fine la sostanza della educazione fisica e la cui utilità si estende alle situazioni le più diverse della vita.

E’ allora che prende qualche distanza dalla nozione di educazione fisica di cui allarga il campo alla motricità e si adopera nell’elaborare una educazione tramite il movimento, parte di un vasto progetto di fondazione di una “scienza del movimento umano applicata allo sviluppo della persona” che egli chiama “psicocinetica“.

Gli inevitabili ostacoli che incontra e le critiche che egli solleva rinforzano la sua determinazione nel cercare l’accordo fra i suoi propositi metodologici e pratici e i dati delle scienze biologiche ed umane alle quali fa riferimento.

IN CERCA DI UNA COERENZA

La sua prima opera nel 1952 (1) ha per tema l’educazione fisica funzionale. Presentata, all’epoca, in relazione al capitolo relativo agli esercizi detti preparatori e di mantenimento ispirati alla ginnastica svedese, essa apparve come una formula sintetica suscettibile di rispondere alle attese dei numerosi altri metodi in vigore, i metodi naturale, sportivo, ritmico, i giochi e le danze. Scostandosi dal senso abituale dato al termine “funzionale”, generalmente applicato alla messa in gioco del sistema cardio-polmonare, Le Boulch ne conserva il suo significato psico-fisiologico. Assegna pertanto alla educazione fisica così qualificata la missione di “fare del corpo uno strumento perfetto di adattamento dell’individuo al suo ambiente tanto fisico che sociale grazie alla acquisizione dell’ “abilità” o ” padronanza fisiologica e psicologica per l’adattamento ad una data situazione“; egli stabilisce i due insiemi costitutivi di quest’ultima: i fattori psico-motori ed i fattori di esecuzione. Egli affronta l’analisi del movimento e la metodologia richiesta per coltivarla, sottolineando la fase percettiva che condiziona la sua appropriazione e la necessità di fare in modo che l’allievo abbia una chiara coscienza dello scopo da raggiungere e possa dare le sue risposte ai problemi a lui posti. Tale in effetti è l’esigenza minima di una visione funzionale.

In questa prospettiva egli conduce una ricerca che va a sfociare nella sua tesi di medicina nel 1960, studio consacrato ad alcuni fattori di esecuzione del movimento- détente, forza, velocità (2) -, quelli che essenzialmente intervengono nelle prove atletiche composite (lancio, corsa di velocità, salto in alto) tradizionalmente utilizzate per valutare le caratteristiche motorie. Per far questo, egli calcola le correlazioni fra il tempo di reazione misurato con l’aiuto d’un cronoscopio (tempo semplice, tempo motorio, tempo discriminativo) e queste prove atletiche. I risultati ottenuti mettono in evidenza in particolare che, contrariamente alla opinione corrente, è la velocità muscolare e non la velocità nervosa che interviene in una corsa di velocità e che la détente , modo di utilizzo della forza muscolare, riveste due forme: l’una è esplosiva e l’altra progressivamente accelerata; quest’ultima, sovente la più efficace, implica un buon controllo temporale della ripartizione della forza. Si tratta dunque di un apporto non indifferente per il campo dell’allenamento sportivo e quello della educazione fisica scolastica.

CRITICA AD UNA GINNASTICA MECCANICA DELLE APPARENZE

Ma il suo orientamento funzionale non poteva adattarsi a lungo con la dicotomia stabilita fra ginnastica di mantenimento e ginnastica funzionale. In effetti chi dice movimento dice postura ed atteggiamento. Il celebre fisiologo Ramsay HUNT scriveva a suo tempo: “Tutto il movimento parte da un atteggiamento; l’atteggiamento segue il movimento come un’ombra ed il meccanismo posturale interviene senza interruzione per stabilizzare e regolarizzare il movimento stesso” (3).

Questo è il punto centrale della educazione fisica. Com’era dunque possibile fare se le scoperte da lungo tempo avevano messo in evidenza la dualità strutturale dei muscoli associata ad una funzione predominante cinetica per gli uni, i più superficiali, e tonica per gli altri, i più profondi? Le tecniche in uso in materia di educazione e rieducazione restavano invariabilmente fondate sulla adozione di posizioni ipercorrette per contrazione volontaria e forzata dei muscoli …..superficiali, in modo tale che il risultato più certo era di annichilire l’azione tonica riflessa dei muscoli di mantenimento! Jean LE BOULCH lo scopre e lo dimostra a partire dalle sue osservazioni cliniche durante le sedute di rieducazione dei poliomielitici (4).

E’ allora che egli fa sua l’analisi fenomenologica secondo la quale l’atteggiamento dipende da condizioni sia periferiche (equilibrio articolare, tensione muscolare) che centrali, in particolare affettive, proprie alla persona, egli si appoggia anche sulla prospettiva genetica totalizzante di Henri WALLON che attinge alle sorgenti stesse della relazione del bambino con il suo ambiente per spiegare le manifestazioni del sottile funzionamento neuro-muscolare. Egli denuncia l’assurdità delle pratiche in uso e preconizza una educazione posturale basata sulla percezione del corpo proprio, forte delle conoscenze apportate, sin dall’inizio del XX secolo, da pionieri quali Pierre BONNIER con il suo “senso degli atteggiamenti” (5) e SHERRINGTON (6) che individua e sistematizza un “campo percettivo” in relazione stretta con un campo esterocettivo ed il suo sotto-insieme enterocettivo.

La sua critica è anche implacabile nei confronti delle tecniche di assouplissement e di muscolazione in vigore nella medesima epoca. Bisogna convenire che in effetti queste non erano esenti da una certa rudezza, che rasentava talvolta la brutalità: assouplissement tramite stiramenti bruschi, movimenti “lanciati” in forma meccanica e ripetitiva la cui efficacia supposta era proporzionale ai dolori prodotti. Le reazioni di rigetto non mancavano. L’apparire più avanti delle ginnastiche dette dolci ed anche di una anti-ginnastica era più che giustificato.

Molto presto i dati ineluttabili della neuro-fisiologia del muscolo ed i lavori più antichi e più contemporanei permettono di comprendere l’azione dei fusi neuro-muscolari nella regolazione riflessa del tono con l’intermediazione del circuito gamma il cui il motoneurone è egualmente sottomesso alle influenze centrali; è pertanto possibile esercitare un dominio volontario sul tono (7). Rigettando tutte le forme di tecnica “marziale”, egli si unisce alle correnti che militano in favore dell’equilibrio tonico (Gerda Alexander, L. Ehrenfried, Edmund Jacobson). Non si tratta per lui di votarsi ad un culto smodato del rilassamento, ma di utilizzarlo come mezzo per meglio percepirsi e controllare il proprio corpo.

L’iter adottato si riassume pertanto, per quanto concerne questo punto, nella messa in opera di esercizi miranti all’ottenimento di un atteggiamento globale decontratto, di un controllo della tensione muscolare tramite un rilassamento associato alla respirazione, di un posizionamento dei segmenti e delle cinture scapolare e pelvica in modo tale che i riflessi tonici dei muscoli di sostegno possano giocare pienamente nell’equilibrio corporeo e, quindi, nella economia, nella buona esecuzione ed efficacia dei movimenti. Tutto ciò evidentemente avrà molteplici applicazioni nella vita quotidiana, nella pratica professionale, nel tempo libero (8,9)

Ma se la forma dell’esercizio è importante, questo in generale non è sufficiente da solo per arrivare ad un livello di percezione fine ed elaborato. Per questo il ruolo mediatore dell’educatore è indispensabile perché è il suo intervento che permette di orientare l’attenzione dell’allievo verso uno o l’altro aspetto essenziale. La relazione educativa appare così come un aspetto determinante nella traduzione pratica dei dati scientifici (10).

AMPLIAMENTO DELLA PROSPETTIVA FUNZIONALE

Il suo approccio scientifico multidimensionale, legato ad una grande capacità di sintesi, contribuisce, col passare degli anni, ad arricchire e rinforzare il suo orientamento funzionale. L’ispirazione diventa più nettamente neuro-psicologica.

Egli riprende dapprima l’idea di strutturazione correlativa e reciproca dell’io e dell’ambiente formulata da Roger MUCCHIELLI (11) ed aderisce alla concezione di Piaget dell’adattamento, visto come processo di equilibrazione fra l’accomodamento dell’organismo all’ambiente e l’assimilazione dell’ambiente tramite le strutture proprie del soggetto. Valorizzando il polo della persona, altrimenti detto quello dell’assimilazione, egli rifiuta questa forma meccanica e passiva dell’adattamento che consiste, come BERGSON stesso aveva dimostrato, nel fare delle condizioni dell’ambiente “lo stampo da cui la vita deve ricevere la forma” invece di far sì che la vita possa “crearsi essa stessa una forma appropriata alle condizioni a lei più congeniali” (12). Egli dunque si pone nella prospettiva di avere fiducia nelle capacità creative della persona e adotta l’iter che ne favorisca l’espressione, quella della pedagogia attiva.

Era già questa pedagogia che implicitamente lo animava quando egli suggerì, ai suoi esordi, di presentare l’esercizio non come un modello da riprodurre, ma come un problema da risolvere.

Le neuroscienze arrivano al momento giusto ad appoggiare la sua metodologia della formazione e dello sviluppo. Esse gli forniscono argomenti decisivi riguardo alla importanza dei livelli inferiori ed intermedi del sistema nervoso nella attività cerebrale, ciò che molti clinici avevano già sottolineato da tempo, alcuni di loro assegnando al sistema meso-diencefalico la sede d’una coscienza centrale la cui destabilizzazione poteva spiegare nevrosi, psicosi ed altre turbe mentali. Queste riflessioni collimano con l’interpretazione del funzionamento del sistema nervoso che più di un secolo fa diede Hughlings JACKSON che dalle sue osservazioni cliniche aveva dedotto che l’evoluzione di questo avveniva per tappe e per livelli, che andavano dall’automatico al volontario e dal più organizzato ad meno organizzato (13).

Questa teoria evoluzionista della gerarchizzazione e della differenziazione delle strutture nervose ha, in seguito, largamente penetrato la neuropsichiatria e contribuito a chiarire taluni misteri. Ma la loro legittimità ed il loro interesse sono valevoli sia in campo educativo che pedagogico, come dimostra LE BOULCH.

In effetti, secondo lui, tutte queste considerazioni permettono di distinguere le caratteristiche dell’apprendimento e di fissare le modalità della sua messa in opera. Se ne trova una conferma supplementare nella psico-fisiologia di HEBB (14) che lo conduce a distinguere due livelli di apprendimento:

 l’uno primitivo, per il quale l’adattamento si fa sulla base di connessioni senso-motorie, senza riflettere, ma con una chiara coscienza dell’obiettivo; esso corrisponde alla fase detta dell’aggiustamento globale; è predominante nel bambino, tanto più è piccolo, ma si manifesta anche nell’adulto, principalmente quando è confrontato con una situazione inedita ed imprevista.

– l’altro, secondario, più percettivo e concettuale, si traduce nella capacità che ha la persona di intervenire deliberatamente sul programma automatico della sua azione e delle sue modalità di esecuzione, cioè può prevederle e, al bisogno, può modificarle o influenzarle.

L’iter pedagogico che ne deriva è induttivo, risalendo dai fatti ai principi che li reggono. Essa bandisce l’insegnamento di modelli prestabiliti imposti e dà priorità alle capacità di “replicare “, secondo il termine utilizzato da BERGSON per qualificare l’adattamento attivo, e non a ripetere. L’incitamento a dare una risposta personale al problema che pone l’esercizio o la situazione favorisce la veglia, mobilizza la funzione energetica e scatena il processo di aggiustamento globale. In caso di difficoltà o di blocco, l’educatore interviene per modificare un elemento o un dettaglio della situazione; egli coglie ogni occasione per dirigere l’attenzione verso gli aspetti percettivi relativi al tempo ed allo spazio, ma anche verso ciò che accade nella propria persona. LE BOULCH accorda una importanza tutta particolare a questa seconda forma di attenzione, ignorata dai sistemi educativi della nostra società, dove conta l’estroversione, eppure essenziale per la padronanza dell’atteggiamento e del gesto. Egli la eleva al rango di una funzione di interiorizzazione (15).

Quanto alle attività o alle pratiche effettuate ed alle quali è necessario ricorrere per portare a compimento questo processo educativo, tutte sono valide, nessuna ha ragione di essere esclusiva. E’ necessario che, quale che sia la loro forma – libera, regolata, regolamentata, individuale o collettiva –esse corrispondano a due classi di movimento, più o meno istintivi, spontanei o pensati, che l’analisi fenomenologica di BUYTENDIJK (16) ha permesso di stabilire:

– gli uni hanno un carattere espressivo, inerente a tutto il movimento animale ma anche deliberatamente coltivato, come nel mimo, il teatro, certe forme di danza;

– gli altri hanno un carattere transitivo, cioè sono coordinati in funzione d’uno scopo.

Le Boulch sottoscrive questa classificazione che presenta il vantaggio della pertinenza, della semplicità e della perennità.

CONCLUSIONI

Questi, presentati succintamente, sono gli aspetti più rivelatori dell’impegno di Jean LE BOULCH nel dotare l’educazione fisica di fondamenti scientifici durevoli e coerenti e nel contribuire ad uscire dai confini dell’empirismo. Le sue vedute, che fanno capo ad un largo ventaglio di riferimenti, non possono lasciare indifferente alcun ricercatore o praticante coinvolto dall’analisi, l’utilizzo o l’educazione del movimento.

Henri LECHEVESTRIER Professore di Educazione Fisica amico e stretto collaboratore di Jean Le Boulch

L’UOMO, LO SCIENZIATO

Don Enrico IANNITTO Presidente del CIRAP Centro Internazionale Ricerca Applicazione Psicomotricità – Roma

L’UOMO

“Non nascondo l’affetto e la commozione provata quando ho cercato di richiamare alla memoria e fissare i ricordi e le circostanze vissute in questi anni di frequentazioni, di collaborazione, ma soprattutto di profonda amicizia, ricca di reciproche confidenze e scambi di consigli.”

Le Boulch era molto modesto, quindi non propenso a dichiarare e manifestare le sue qualità ed i suoi sentimenti. La fonte cui ho attinto circa i dati professionali che lo riguardano proviene dal suo curriculum vitae, che mi diede quando presentai la mia tesi di laurea “ Problemi e Metodi della Educazione Psicomotoria: La Scuola Francese di Psicomotricità e l’opera di Jean Le Boulch”, ma soprattutto dai frequenti incontri.

Il Prof. Jean Le Boulch nasce il 28 gennaio 1924 a Brest (Francia) in una famiglia modesta di sani principi morali, sociali, culturali e religiosi, come mi è stato dato di conoscere attraverso i colloqui confidenziali che avvenivano la sera, dopo l’attività, in familiari incontri conviviali. Il pensiero di Le Boulch tornava talvolta a scene suggestive ed a vissuti carichi di emozioni della sua infanzia, ricordava per esempio le corse per le scalinate del suo paese, definite da lui vissuti psicomotori oppure i primi rapporti di amicizia presso l’oratorio parrocchiale. Era figlio unico: il padre Pierre lavorava alla Banca di Francia, era stato prigioniero in Germania, nella guerra 1939-1945, la madre lavorava in casa. Finiti gli studi superiori fu ammesso al concorso de l’INSEP di Parigi e nel 1947 venne assunto al CREPS di Dinard. Sempre nel ’47 si sposò e nel 1948 nacque il figlio Giangiacomo, il quale dopo brillanti studi, partito per il Laos in servizio militare, qui morì in tragiche circostanze il giorno dopo il suo arrivo: questo evento fu il suo dolore più grande.

Nel 1955 a Dinard nacque Patrizia, che gli darà quattro nipoti.

Questi particolari familiari li ho citati perché ci restituiscono la dimensione umana di Le Boulch, che mi raccontava anche le osservazioni che faceva sui suoi stessi nipotini. Noi tutti abbiamo potuto apprezzare il suo carattere modesto e tenace, disponibile e riservato, equilibrato, tollerante, che non scendeva mai a compromessi.

A questo punto non possiamo non ricordare qui oggi la persona che per tanti anni ha collaborato con il Prof. Le Boulch, mi riferisco a Madame Renée Essioux, che potremmo definire l’altra dimensione di Le Boulch. Se lui era il teorico, lei ne era la traduzione pratica, sempre precisa. Tutti quelli che l’hanno conosciuta hanno dinnanzi l’entusiasmo, il dinamismo, l’agilità e la grazia con i quali conduceva le sedute, indimenticabili quelle su basi musicali.

Ci hanno entrambi lasciato un grande esempio di reciproco rispetto e stima, di collaborazione, di perfetta integrazione e continuità fra la teoria e la pratica.

L’improvvisa scomparsa di Madame Essioux scosse profondamente Le Boulch, il quale non nascondeva la commozione quando nelle nostre conversazioni si accennava a lei, manifestando così una grande sensibilità ed umanità che facevano da sfondo al rigore e precisione del suo insegnamento.”

LO SCIENZIATO

“La precisa vocazione di Le Boulch traspare già dal curriculum dei suoi studi, dalla sua formazione: dapprima interessato alla fisica, alla chimica ed alla biologia, approda poi alla psico-fisiologia, alla psicologia genetica, studi che corona con la laurea in medicina.

La sua tesi “Les facteurs de la valeur motrice”, analisi sperimentale di alcuni di questi fattori e l’interpretazione da un punto di vista fisiologico segna una scelta ed un impegno definitivo e preciso. Questa solida e ricca formazione in scienze biologiche ed umane costituisce la base su cui imposterà le ricerche successive. Saranno ricerche serie, profonde, ricche di riferimenti, soprattutto collaudate dalla sperimentazione. All’inizio delle sue ricerche si orienta verso il campo della biologia, in particolare della genetica, con risultati allora d’avanguardia, ma al successo scientifico e personale preferisce il rispetto dei principi etici. Avverte infatti il rischio di abusi dei risultati ai quali è pervenuto, sposta allora i suoi interessi e le sue ricerche dalla genetica alla educazione.

Come docente non si limita mai ad una ripetizione fredda, formale e stereotipata delle sue conoscenze. Chi lo segue nel tempo lo trova sempre nuovo, interessante ed avvincente anche quando affronta argomenti già conosciuti. Il suo insegnamento è in perfetto equilibrio tra i principi, le ipotesi scientifiche e la verifica della pratica. Il suo genio, la sua grandezza, risiedono sia nel suo contributo scientifico sia nel suo instancabile magistero, nel suo ruolo di formatore ed educatore di generazioni docenti.

A lui si deve la messa in luce della funzione di aggiustamento, fin dai primi anni quando incaricato dalla Camera di Commercio di Parigi fa ricerche, compie studi, emette ipotesi nell’ambito della fauna marina. La sua opera “Verso una scienza del movimento umano” se da una parte documenta la sintesi dei suoi studi, dall’altra indica la strada, con analisi precise, per chi voglia sviluppare la ricerca e la sperimentazione. Le opere successive non sono altro che approfondimenti di quanto esposto in questa sua opera fondamentale, approfondimenti attenti ai progressi ed alle nuove acquisizione scientifiche. Gli incontri ed gli scambi con i diversi orientamenti culturali si concludevano sempre sulla base di un libero confronto di idee, reagiva soltanto se si voleva travisare il suo pensiero. D’altronde affermava con chiarezza che la psicomotricità in generale non era la panacea per ogni situazione, ma era una possibilità, insieme ad altre, per affrontare problemi educativi, rieducativi e terapeutici. Il suo lavoro, vista la sua esperienza di medico e di educatore, poggia soprattutto sulla conoscenza approfondita degli stadi di sviluppo dell’essere umano, e possiede una duttilità tale da permettere di rispettare le possibilità e le necessità di partenza di ognuno, nonché di far emergere e valorizzare gradatamente le potenzialità, in diversa misura latenti in ciascuno, nel quadro della formazione globale della personalità.

Qui permettetemi non solo di indicare, ma di sottolineare l’esclusività della sua analisi funzionale, il suo approccio alla globalità delle funzioni dell’organismo per facilitarne l’evoluzione in modo sinergico ed armonico.

Molto si parla oggi di psicomotricità, in realtà spesso se si chiede in cosa consista, quali risultati si raggiungano, si ricevono risposte generiche senza un reale riscontro, manca una base scientifica su cui impostare una seria formazione professionale. L’impostazione psicanalitico-psico-sociologica da una parte e quella sintomatico-fisiologico-comportamentista dall’altra continuano a scontrarsi in una sterile dialettica che sfocia poi in scuole diverse e contrapposte, generando disorientamento ed impossibilità di arrivare, senza una solida base scientifica, ad una visione unitaria ed integrata della persona sul piano teorico, e ad un vero approccio globale sul piano pratico, premessa indispensabile per il riconoscimento legale della professione.

Le Boulch è riuscito ad armonizzare nella Psicomotricità Funzionale, che utilizza il movimento associato al linguaggio, i fondamenti scientifici provenienti da Scienze Biologiche, in particolare da Neuroscienze, e Scienze Umane. Essa costituisce un supporto educativo di base per favorire innanzitutto lo sviluppo funzionale, ma può essere utilizzata in modo induttivo a tutte le età. Il suo utilizzo oltre che nel campo educativo, s’impone in campo rieducativo e terapeutico, nelle insufficienze mentali, nell’autismo, nelle psicosi, nei disturbi dell’attenzione, nei deficit motori e nelle disprassie, nei disturbi della organizzazione tonica di origine organica o emozionale, negli handicaps motori.

Ho fatto un sogno circa un mese fa, Le Boulch mi raccomandava di insistere sulla efficacia del movimento anche per favorire e migliorare le funzioni mentali, ricordandomi gli esperimenti fatti su topi, esperimenti nei quali veniva limitato il loro movimento chiudendoli in gabbie insufficienti: questo fatto portava ad una forte diminuzione dell’attività elettro-encefalica.

Vi racconto questo perché negli anni ’70 la tesi di Le Boulch, che aveva già superato il dualismo tra corpo e mente, era fortemente criticata da coloro che, per lo più psicologi, respingevano tout court la stretta connessione tra corpo e mente.

Per quanto poi riguarda il rapporto tra anima e corpo, Le Boulch mi chiarì subito la sua posizione senza compromessi né concessioni, con una scelta onesta ed equilibrata, distinguendo senza separare né escludere il campo scientifico dalla dimensione teologica, evitando in tal modo una sterile strumentalizzazione delle due posizioni, spiritualista e materialista. Ciò non significava un rifiuto della dimensione trascendente, ma un grande rispetto per la libertà, per i valori e le convinzioni altrui. Ho poi sempre apprezzato in questi trent’anni di conoscenza un grande equilibrio nelle sue valutazioni quando si parlava di valori etici, culturali, sociali, politici; le sue conoscenze e competenze poggiavano su un solido fondamento umano e religioso.

Infine un accenno ai valori e nei quali Le Boulch ha creduto e testimoniato.

Prima di tutto la libertà della persona. A chi lo accusava di essere contro i sentimenti a favore della razionalità e della logica, egli rispondeva che soltanto la ricerca della verità rende l’uomo libero. Per questo, seguendo il detto antico “conosci te stesso”, proponeva la visione armonica ed equilibrata dei tre livelli di funzionamento della persona, riflesso-automatico-cosciente, per lui una conoscenza base per costruire un progetto educativo. Ma non trascurava nel contempo l’influenza dei fattori ambientali che traduceva in situazioni adeguate, graduali, con la preoccupazione di non mettere mai le persone di fronte a difficoltà superiori alle loro possibilità onde evitare un esito frustrante se non, addirittura, una “inibizione dell’azione”, come descritto da un altro scienziato francese da lui molto citato, Laborit. Le sue proposte rispecchiavano dunque questi principi: tutti ricordano la discrezione dei suoi interventi, l’ampio spazio lasciato alla iniziativa personale (l’aggiustamento), lo stimolo a creare per non cadere nella stereotipia, l’autovalutazione che proponeva al gruppo o ai singoli alla fine delle sedute. Quando il soggetto falliva, egli andava a sottolineare l’elemento positivo, proponeva la situazione percettiva più adatta perché il soggetto traesse gli elementi significativi (interiorizzazione) per arrivare al successo nella propria azione. Con passione, con tenace volontà e spirito di sacrificio ha cercato di far comprendere il suo messaggio: i suoi frequenti e lunghi viaggi per raggiungere le sedi dove teneva i corsi sono una dimostrazione di coraggio e di instancabile impegno professionale.

Mi auguro che tutto ciò possa costituire forte stimolo ed impegno a continuare a diffondere la sua opera avendo sempre davanti la sua figura come modello per la nostra professione.”

Don Enrico Iannitto Presidente del CIRAP Centro Internazionale Ricerca Applicazione Psicomotricità – Roma

Curricolo

1940-1944 Studia a Brest, quindi alla Scuola Normale di Sain-Brieuc. Pratica la pallacanestro e l’atletica (salti); membro della equipe nazionale universitaria junior

1945-1947 Professorato di Educazione Fisica a l’ENSEP

1947-1969 Professore al CREPS di Dinard (programmazione di stages per insegnanti e preparazione al professorato di Educazione Fisica)

1954-1960 Studi di psicologia e dottorato in medicina

1962-1969 Specializzazione in riabilitazione funzionale Associato al Centro Ospedaliero Universitario di Rennes, servizio di rieducazione funzionale Professore alla scuola di chinesiterapia di Rennes

1969-1972 Ispettore incaricato di Educazione Fisica nelle scuole della Camera di Commercio ed Industria di Parigi

1972-1984 Incaricato delle ricerca alla Scuola Superiore di Commercio di Parigi (gruppo di ricerca applicata alla formazione)

1972-1992 Diverse collaborazioni con università straniere, in particolare con: Canada: Laval di Quebec Brasile: Uberlandia, Curitiba, Campinas Argentina: La Plata Perù: Lima Spagna: Valenza, Barcellona

1981-1986 Sperimentazione sulla educazione fisica alla scuola primaria in Italia sotto l’egida del Ministero della Pubblica Istruzione e dell’UNIEF

1996-1999 Direttore Scientifico e coordinatore della ricerca-azione “Movimento ed Educazione” per l’Istituto Superiore di Educazione Fisica di Torino

1992-2001 Professore all’Istituto di Perfezionamento di Losanna Direttore scientifico della scuola del movimento di Firenze -Direttore scientifico della Scuola di Psicomotricità Funzionale presso Centro Adolescere di Voghera